Stray Cats – Live @ Summer Jamboree 2008
Sul palco del Summer Jamboree si sono avvicendati un’infinità di giganti di questo genere, su tutti Jerry Lee Lewis, headliner nel 2007. A monopolizzare l’attenzione dell’edizione 2008 è stata invece la memorabile serata di venerdì 22 agosto: quasi cinquemila rocker, giunti da ogni angolo del globo, hanno stipato il Foro Annonario per assistere all’unica data italiana del tour di addio degli Stray Cats, il trio rockabilly statunitense che ha riscosso i primi successi in Inghilterra per poi esplodere al ritorno in patria, e che tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’90 ha guidato il revival del prime jive: canzoni ispirate ai pionieri anni ’50 ma dai ritmi ancor più infuocati, ciuffi antigravitazionali, borchie e tatuaggi di matrice punk.
I primi a esibirsi sono però i milanesi The Dragons, tra i massimi esponenti delle nuove leve del rockabilly tricolore. Ugualmente eleganti in nero e bordò, Sam (voce e chitarra), Fantasma (contrabbasso) e Martino (batteria) mantengono, e anzi superano, le promesse della vigilia: il loro set è condotto a velocità vertiginosa e con una consapevolezza da veterani. Di gran gusto la scelta e l’esecuzione delle cover, in particolare l’inno nichilista I Wanna Be Sedated dei Ramones.
Nel 1989 gli Stray Cats suonarono a Milano, per una storica data al Rolling Stone. In quell’occasione il gruppo spalla furono gli allora campioni del rockabilly di casa nostra, The Boppin’ Kids, ai tempi giovanissimi. Quasi vent’anni dopo, i Boppin’ hanno avuto nuovamente il privilegio di suonare da supporto ai Gatti Randagi (pare che gli Stray Cats ne abbiano personalmente caldeggiato la presenza). Nella formazione a tre (costante di tutti i gruppi della serata e archetipo del genere, come le batterie scarne e suonate in piedi), con due membri originali (il cantante e chitarrista Boppin’ Orazio e il batterista Emilio The Insane), è forse proprio il nuovo contrabbassista Kris Sinister a fare la differenza: un ventunenne con in testa una piramide di capelli ingellati, per definire il quale “esplosivo” è un eufemismo, che nel suo continuo slap raddoppiato dà l’impressione di voler sradicare le quattro corde dal proprio strumento. Lo si può vedere all’opera anche nel terzetto psychobilly degli Horrible Porno Stuntmen. Suonano quasi solo pezzi originali, non dimenticando però di inserire un’ottima versione della storica Tainted Love, rivisitata negli anni da molti artisti, come – nell’ambito rock’n’roll – The Hormonauts (che avvistiamo nel backstage e che sono senz’altro stati influenzati dai Boppin’).
È finalmente il momento clou. Inondati da un mare di applausi già prima di aver completato l’ingresso in scena, gli Stray Cats fanno la loro comparsa davanti alla platea del Foro Annonario. Le pettinature sono ancora quelle ribelli degli anni d’oro, l’abbigliamento è – se possibile – anche più stravagante, ma allo stesso tempo elegante: giacche, camicie, pantaloni e scarpe dai colori sgargianti e dai motivi felini d’ordinanza. È proprio il leader Brian Setzer a portare più evidenti, sul volto e nel fisico, gli inevitabili segni del tempo (le primavere sono quasi cinquanta), anche se la voglia di divertirsi e divertire appare da subito immutata. Lee Rocker, invece, ha ancora lo stesso volto da ragazzino, e – a livello di puro divertimento – nel corso del concerto sfoggerà tre contrabbassi personalizzati: uno fiammeggiante, uno con una fantasia metallizzata e uno classico ma con in testa una piccola riproduzione scultorea del celebre logo della band, il gatto randagio sorridente e con gli immancabili capelli a banana. Il batterista Slim Jim Phantom tiene fede al suo soprannome, esibendo a mano a mano, tramite i ripetuti alleggerimenti del vestiario, il fisico mingherlino, esaltato dalla notevole altezza. Gli Stray Cats, insomma, conquistano gli occhi oltre alle orecchie: non si fa fatica a immaginarli in una trasposizione fumettistica o cartoonesca. Ma è il live a confermarli come grande gruppo rock: un’ora e mezza abbondante di blues accelerato, hillbilly tiratissimo, assalti country e boogie, in pratica le tavole della legge di tutto il rock’n’roll e rockabilly «in his purest form», come diceva Setzer nelle interviste d’epoca. E il biondo Brian ha sempre voglia di interagire con il pubblico: «Italian people are genuine!», dichiara con il sorriso sulle labbra. Poi, con i due compagni d’avventura, si cimenta in divertenti siparietti d’amore e gelosia che si concludono con un abbraccio («I love you both!»). Sotto il palco, tra giornalisti e fotografi, si fa spazio Kris Sinister, il contrabbassista al tritolo, ancora madido dopo la sua strabiliante performance ed evidentemente desideroso di gustarsi da vicino Setzer e soci. Intanto la sequenza dei cavalli di battaglia scorre che è un piacere: ci sono classici come (She’s) Sexy And 17 e Rumble In Brighton, Something’s Wrong With My Radio e Runaway Boys, ma soprattutto i due singoli incendiari dell’album più significativo, Built For Speed: a metà del concerto, ecco Stray Cat Strut; verso la fine, la canzone attesa da tutti, Rock This Town. Elettrizzante è quello che definirei “il momento leopardato”: una coraggiosa hot chick dal vestitino leopardato, in un momento di particolare esaltazione, si catapulta sul palco e si ammanetta (!) a Brian, che in quel momento imbraccia una chitarra dalla medesima fantasia maculata. Stupito e divertito, Setzer sta al gioco, prima che la security intervenga. Dopo il concerto, quando fermo la ragazza per i doverosi complimenti, è ancora in fibrillazione e mi dice: «Sono stata brava, eh? Ho fatto rivivere lo spirito degli anni ’50!». Ovazione interiore per lei, intensa come quelle generali che accompagnano ogni assolo di Brian o di Lee Rocker (che quando può si arrampica sul contrabbasso) e ogni numero da circo di Slim Jim: l’immagine di lui in piedi sulla grancassa, pronto a spiccare il volo, per poi ricadere sul piatto sancendo il finale dei brani, è da storia del rock. Da lacrime è poi Gene & Eddie, un doppio omaggio a Gene Vincent ed Eddie Cochran, commovente ibrido (sia nei testi sia nella musica) tra Be-Bop-A-Lula e Summertime Blues. I Cats, infatti, si dilettano anche con le cover, tanto da riempirne l’album Original Cool, e quelle scelte per Senigallia sono fantastiche: I Fought The Law e Something Else. Ma la cover che da sola costituisce il secondo bis e la chiusura del concerto è una sorpresa che da sola vale la serata: Please Don’t Touch, vecchissimo pezzo del ’59, una rarità assoluta portata alla ribalta dalla cover/collaborazione tra i Motörhead e le Girlschool proprio mentre i Cats muovevano i primi passi come gruppo. E con Lemmy, non a caso, collabora Slim Jim, nel progetto The Head Cat.
Il tempo è trascorso intenso e veloce, come una rullata di Slim Jim Phantom. Gli Stray Cats si congedano davvero, anche se all’unanimità li si vorrebbe nuovamente sul palco a regalarci qualche altra perla.
In nottata è d’obbligo lo spostamento al Mamamia, per shakerarsi in pista, godersi le più acrobatiche coppie danzanti e farsi cullare dal tranquillo country western swing di un altro trio, questa volta californiano: The Golden Hill Ramblers, due chitarre e contrabbasso. Il Summer Jamboree 2008 va verso la conclusione: le protagoniste di sabato, allo Shalimar, saranno le divette del burlesque e del water show. Arrivederci ad agosto 2009, per la decima edizione, curiosi come sempre di scoprire, intorno ad aprile, il nome principale in cartellone.
«Io prendo il treno del rock / Per andare a Senigallia / Io prendo il treno del rock / Tu lo sai che lì si balla / Io prendo il treno del rock / Per il Summer Jamboree»…
Carmine Caletti
P.S.: dedicato a Dado, a Johnny Kellog, a Lionel Pretzel e a tutti i Rocker che c’erano comunque.